Pubblicazioni

INTERVISTA IMPOSSIBILE A BEPPE BORELLA

Image

TRA IRONIA E DADA

Testo a cura di Stefano Bianchi – Ponti x l’Arte Associazione Culturale

Marmo, pietra, granito, ferro. Materiali che Beppe Borella padroneggia scolpendo, levigando, modellando la forma.

 Le sue sculture, ironiche e “dadaiste” quanto lui, sono potenti e insieme fantastiche.

Ci sono forme che mi piace definire “from outer space”: come gli Asteroidi, il Cubo Spaziale, Empty Space 1 che riecheggia il monolite di 2001: Odissea nello spazio.

Forme, come Rabbit OGM e Filamento 4, che citano futuristicamente Umberto Boccioni.

Forme talmente morbide e sinuose che viene voglia d’accarezzarle: la sfera in marmo nero, Empty Space-Sun (baciata da un’insostenibile leggerezza scultorea) e Lady Soap, in onice, con quel nudo femminile coricato e invaso da bolle di sapone.

Borella, poi, sa essere fumettisticamente Pop quando tramuta la forma in giocattolo di pietra e acrilico blu veicolando uno slogan pacifista (il carrarmato di Game, No War) e quando traduce lo Smile in Linguaggio Universale.

In ogni caso, nelle sue mani, la forma è vita, stupore, divertimento.

Image

IL DADO É TRATTO

Testo a cura di Anna Facchinetti

La peculiarità del lavoro di Beppe Borella è sicuramente il materiale utilizzato per realizzare le sue opere. È singolare e molto interessante notare come il marmo e la pietra possano subire lavorazioni tali per cui il loro comune aspetto venga stravolto. È questo il caso in cui dobbiamo rivalutare completamente le concezioni di scultura e quadro; infatti, in alcune opere di Beppe le due cose coesistono diventando un unico elemento. Così come ci sono sculture che si sostengono da sole e possono poggiare a terra, ce ne sono altre che tendono a diventare quadri e pur occupando le tre dimensioni hanno la necessità di essere appese ad una parete. In entrambi i casi la bravura e la tecnica nel lavorare un materiale prezioso e complesso come il marmo è evidente: la superficie è liscia e lavorata al millimetro con una precisione quasi chirurgica che fa sembrare la pietra morbida e facilmente malleabile come creta.

Andando ad analizzare la ricerca formale di Beppe, si può notare come essa si sviluppa su due fronti apparentemente molto diversi fra loro: da un lato l’indagine volumetrica e quasi scientifica relativa alla massa e al “corpo” del marmo, dall’altra la natura POP e mainstream di alcuni suoi soggetti e cromie.

Di quest’ultimo filone sono le sue sculture rappresentanti i carrarmati Risiko, le pistole, le mollette e i Lego, iconografie subito riconoscibili e simboli importanti della società e cultura contemporanea. In esse molto spesso il materiale di realizzazione è mascherato dall’uso del colore. Inutile dire che anche queste campiture omogenee, monocromatiche e piatte fanno parte della logica POP di ricondurre tutto ad una dimensione superficiale a base di plastica e colori sgargianti.

Diverso è il discorso quando ci si approccia alle sue opere “analitiche”, in questo caso il materiale è sempre lasciato visibile come parte integrante dell’opera, i volumi sono trattati e studiati minuziosamente e formano dei giochi geometrici che studiano i diversi equilibri possibili. Anche i materiali di scarto sono utilizzati per la realizzazione di queste opere ricevendo una nuova vita e un nuovo significato.

Ma queste due strade non sono parallele e solitarie, capita a volte che i due filoni d’indagine s’incontrino. Questo succede grazie al colore: la cromia POP prende il sopravvento e invade il campo serioso dell’analisi inondandolo di colore sgargiante come il verde, il rosso o il blu e i volumi subiscono un altro intervento al quale si adattano fornendo nuovi argomenti di studio.

Le superfici si uniformizzano, il materiale scompare e rimangono solo i volumi a farla da padroni.

Image

IL LINGUAGGIO TRASVERSALE DELLE SCULTURE DI BEPPE BORELLA

Testo a cura di Francesca Baccalà

Quando la forma prende possesso della materia plasmandola in una nuova estetica, l’universo sembra tendere verso un nuovo ordine. Beppe Borella si fa complice di questo processo “alchemico” trasformando un’inerte pietra in un oggetto unico in cui la vita si esprime a vari livelli, ri-occupando lo spazio delle tre dimensioni, conferendo alla materia una nuova funzione e facendola diventare un potente mezzo comunicativo.

Nelle sue opere confluisce tutta la forza di questa trasfigurazione e della creazione artistica, concretizzate in queste sculture passando attraverso l’ impulso che nasce dal dialogo diretto e istintivo dell’artista con i materiali che più gli appartengono per “affinità elettiva” come il marmo e il granito.

Consapevolmente o inconsapevolmente le sculture di Beppe Borella ci pongono infatti di fronte a diversi piani di lettura e interpretazione.

L’attenzione è prima di tutto rivolta alla materia, che, benché celata dietro un aspetto levigato e ordinato, si manifesta con tutta la sua potenza ed energia, raccontandoci la storia della Terra, parlandoci attraverso le venature, le cromie e le impurità, poiché  essa stessa prodotto di naturali metamorfosi geologiche.

Partendo da questo primo approccio che potremmo definire scientifico, la scultura si concentra poi sul fascino della perfezione della forma geometrica e sulla seduzione dell’armonia della ripetizione, dove l’entropia dell’universo viene ricondotta ad un sistema ordinato e misurabile.

E’ nell’alternarsi cadenzato dei pieni e dei vuoti delle sue sculture da parete come Spazio tondo neroSpazio ondulato bianco o Spazio verde, che riusciamo a percepire fortemente e toccare con mano l’importanza dello studiato impianto strutturale dell’opera e del concetto astratto e concreto di “spazio”.

Sempre ispirate dalla geometria e dalle figure della natura, sono anche le sculture a tutto tondo come Black HoleA 360°, SequenzaBarlume o Stargate che, pur nelle non monumentali dimensioni, si impongono alla vista come maestosi monoliti di cui possiamo cogliere la potenza emanata a lungo raggio; sono misteriosi e attrattivi oggetti che racchiudono significati e spunti filosofici.

Giocando non solo con la forma ma anche con le parole, le sculture di Beppe Borella ci parlano inoltre attraverso l’ironia, un potente mezzo espressivo che destabilizza e fotografa la realtà con intelligenza e un tocco di leggerezza, sgravando la materia dal suo peso. Da Rabbit OGMDonna alienaCastaLady SoapMonumento spaziale fino ad arrivare alla serie Linguaggio universale, il mondo del fumetto e del “pop” irrompono nell’immaginario dell’artista, capace di adattare la pietra e, in quest’ultimo caso, anche il ferro, a qualsiasi sua esigenza comunicativa, senza dimenticare un tocco di poesia, come nella piccola, romantica Barca di carta.

Nella produzione più recente, sempre frutto di una continua e impulsiva sperimentazione, prorompe inaspettatamente il colore, e le sculture di Beppe Borella cambiano nuovamente registro e aspetto. Tutta la gravità e naturalezza dei materiali scompaiono, coperti da un colore pieno e smaltato che, ingannevolmente, ne camuffa le sembianze rendendoli leggeri. Ancora una volta l’occhio rimane sospeso tra realtà, visione e spirito ludico: l’Asteroidesi trasforma in una disco ball, lo skyline di New York, scomposto in una sintesi d’ispirazione cubista, viene avvolto da un’intensa tonalità blu Klein, lo Spazio si identifica con il colore, una veste patinata e lucente in cui le zone d’ombra sono bandite per dare spazio al puro piacere della percezione visiva.

Andando ad analizzare la ricerca formale di Beppe, si può notare come essa si sviluppa su due fronti apparentemente molto diversi fra loro: da un lato l’indagine volumetrica e quasi scientifica relativa alla massa e al “corpo” del marmo, dall’altra la natura POP e mainstream di alcuni suoi soggetti e cromie.

Di quest’ultimo filone sono le sue sculture rappresentanti i carrarmati Risiko, le pistole, le mollette e i Lego, iconografie subito riconoscibili e simboli importanti della società e cultura contemporanea. In esse molto spesso il materiale di realizzazione è mascherato dall’uso del colore. Inutile dire che anche queste campiture omogenee, monocromatiche e piatte fanno parte della logica POP di ricondurre tutto ad una dimensione superficiale a base di plastica e colori sgargianti.

Diverso è il discorso quando ci si approccia alle sue opere “analitiche”, in questo caso il materiale è sempre lasciato visibile come parte integrante dell’opera, i volumi sono trattati e studiati minuziosamente e formano dei giochi geometrici che studiano i diversi equilibri possibili. Anche i materiali di scarto sono utilizzati per la realizzazione di queste opere ricevendo una nuova vita e un nuovo significato.

Ma queste due strade non sono parallele e solitarie, capita a volte che i due filoni d’indagine s’incontrino. Questo succede grazie al colore: la cromia POP prende il sopravvento e invade il campo serioso dell’analisi inondandolo di colore sgargiante come il verde, il rosso o il blu e i volumi subiscono un altro intervento al quale si adattano fornendo nuovi argomenti di studio.

Le superfici si uniformizzano, il materiale scompare e rimangono solo i volumi a farla da padroni.

Image

Intervista a cura di Damir Zubcic

Circolano voci che Beppe Borella sia uno stakanovista del lavoro, “l’uomo di marmo”, Mateuscz Birkut, dall’omonimo film di Andrzej Wajda. L’uomo che fino adesso ha messo in opera 30.509 lavori nelle mani dei collezionisti di tutto il mondo.

Alcuni pensano in contrario, affermando che la sua produzione sia ben mirata e legata a un filo rosso che proviene dal mondo d’infanzia, dove ogni opera è un monumento solido, probante: un tentativo di arrestare la fugace corsa del tempo che racchiude l’età d’oro infantile, l’unica che testimonia la nostra totale completezza psicofisica.

B.B.
“I carri armati, ecco i carri armati! sono la mia vera ossessione: potenti e vulnerabili al massimo grado, calpestatori e calpestabili in un istante fulmineo, sempre mortale. Sono le tartarughe che portano il firmamento e la terra nel loro carapace, caparbiamente, verso un destino fatale, lacerato. Dilaniatori di sé stessi.

D.Z.
“Pinocchio aveva una vita sessuale?”

B.B.
“Pinocchio è sempre visto come un essere asessuato: un idiota (nel senso dostoievskiano) di legno che esotericamente cresce passando per i vari stati iniziatici. Ma la sessualità, dov’è?  
Proprio quella sessualità, il perpetuum mobile di conoscenza che già d’infanzia interrompe sulla scena della nostra vita?
Il Pinocchio non verginello, ma fanciullo-uomo solare, creatore di se stesso.”

D.Z.
“La nostra realtà, la vita vissuta è segnata da una mollezza palpabile?”

B.B.
“Siamo appesi a una gigantesca molletta: la chiamano Vita, lo Stato o Dio, la cui presa man mano si indebolisce. Essa testimonierà la nostra vertiginosa caduta nell’abisso, nell’Ignoto dove una volta caduti, il saper nuotare non sarà un’arte facoltativa.

D.Z.
“Numerose persone nella nostra civiltà non credono nel paradiso?”

B.B.
“Che cos’è il paradiso? [Welcome to Paradise!]
Etimologicamente un giardino recintato. E perché no uno stadio di calcio o una piattaforma labirintica arcade del video gioco, dove si gioca a ottenere il massimo punteggio, quel Perfect Score, il punteggio perfetto di 3.333.360 punti.

Il paradiso non è la spiaggia tropicale, la distesa di sabbia calda.

Lo contemplo come il labirinto, certamente non abitato dal terribile Minotauro, ma pur sempre il labirinto nel quale bisogna impegnarsi, mettendo in gioco noi stessi. Siamo PAC-man ovvero la Pallina d’Arte Contemporanea, gialla e veloce, la vincitrice come il sole che brucia i fantasmi pericolosi.
Image

TABLEAUX SCULPTURES

Testo a cura di Stefano Bianchi

C’è un aforisma che sembra formulato apposta per sottintendere la versatilità di uno scultore come Beppe Borella.

È dell’umorista americano Arthur Bloch, autore del libro La legge di Murphy: «La scultura è quella cosa contro la quale vai a sbattere, in un museo, quando fai due passi indietro per guardare meglio un quadro».

Bene.

Borella si trova talmente a proprio agio con il marmo, l’onice, la quarzite; padroneggia e scolpisce a tal punto la materia, da permettersi il lusso di appenderla alle pareti.

Di trasformarla in Tableaux Sculptures.

Preziosi quadri sculture, come quelli esposti lo scorso anno a Parigi e questi, che state osservando e ammirando.

L’artista lombardo parte da una superficie monocromatica (naturale o smaltata), la incide o la buca fino a creare le serie Orbite, Depth, Double Sign, Color, Spazi e Tagli che s’ispirano e reinterpretano l’arte Ottico-Cinetica, la Pittura Analitica, lo Spazialismo, le Estroflessioni.

E sulla superficie, ogni volta, convivono visibile e invisibile, luci e ombre, idea e realizzazione.

Vi sono poi Orbite, Epicentri e Spazi, minuziosamente incorniciati, dove Borella evidenzia le nervature del marmo; oppure (nelle ControNature) dove l’incisione spezza o esorcizza la nervatura stessa.

In entrambi i casi, a prima vista, la contemporaneità del marmo si confronta con l’antichità delle cornici in legno.

Nella realtà, i ruoli si ribaltano: è la storia del marmo, millenaria, a rendere contemporanee le cornici.
Image

TESTO A CURA DI MONIA MALINPENSA

La mutabilità della materia è per lo scultore Beppe Borella di primaria importanza, egli dona forma e struttura all'opera con gesto deciso e suggestiva atmosfera che evidenzia un singolare talento. Servendosi di vari materiali quali marmo, granito, pietra e quarzite, con risultati magistrali, ci svela con gusto ed eleganza un appassionato simbolismo. Le geometrie dei cerchi, di particolare interpretazione, vivono all’interno dell'opera stessa con un perfetto equilibrio tanto da creare una progettualità formale che si estrinseca in una dimensione stilistica di forte impegno tecnico. La sinuosità dei cerchi, estremamente variegata, mai casualmente realizzata viene sempre ideata con una logica ben studiata ed una manipolazione di vera identità scultorea. Spazio, volumi e ricerca si omologano in un linguaggio moderno intriso di effetti unici e di rilievo dove la sperimentazione incessante della materia trova notevoli valori artistici. Lo scultore Beppe Borella, grazie alla sua carica formale, estremamente personale, ci regala una scultura completamente autonoma fatta di capacità tecnica-espressiva che raggiuge così risultati importanti e autentici. Sono opere che ci trasmettono in modo continuo una costruzione pulsante di piacevoli vibrazioni.

Andando ad analizzare la ricerca formale di Beppe, si può notare come essa si sviluppa su due fronti apparentemente molto diversi fra loro: da un lato l’indagine volumetrica e quasi scientifica relativa alla massa e al “corpo” del marmo, dall’altra la natura POP e mainstream di alcuni suoi soggetti e cromie.

Di quest’ultimo filone sono le sue sculture rappresentanti i carrarmati Risiko, le pistole, le mollette e i Lego, iconografie subito riconoscibili e simboli importanti della società e cultura contemporanea. In esse molto spesso il materiale di realizzazione è mascherato dall’uso del colore. Inutile dire che anche queste campiture omogenee, monocromatiche e piatte fanno parte della logica POP di ricondurre tutto ad una dimensione superficiale a base di plastica e colori sgargianti.

Diverso è il discorso quando ci si approccia alle sue opere “analitiche”, in questo caso il materiale è sempre lasciato visibile come parte integrante dell’opera, i volumi sono trattati e studiati minuziosamente e formano dei giochi geometrici che studiano i diversi equilibri possibili. Anche i materiali di scarto sono utilizzati per la realizzazione di queste opere ricevendo una nuova vita e un nuovo significato.

Ma queste due strade non sono parallele e solitarie, capita a volte che i due filoni d’indagine s’incontrino. Questo succede grazie al colore: la cromia POP prende il sopravvento e invade il campo serioso dell’analisi inondandolo di colore sgargiante come il verde, il rosso o il blu e i volumi subiscono un altro intervento al quale si adattano fornendo nuovi argomenti di studio.

Le superfici si uniformizzano, il materiale scompare e rimangono solo i volumi a farla da padroni.

Image

SCHERZI D’OMBRE E MATERIA

A cura di Cristian Bonfanti e Mariangela Peroni

La materia è possente e viva e nasconde in se ciò che l'artista ha il compito di liberare.

Beppe Borella sente il bisogno di entrare nelle venature del marmo, di scalfire il granito e modellare la pietra, instaurando con essi un rapporto empatico.

L'incontro con Giuseppe Uncini fu il suo primo contatto con il mondo della scultura, da cui l'interesse a documentarsi sul lavoro di autori contemporanei: da Boccioni a Fontana, da Burri a Pomodoro, fino a Castellani e a Piero Manzoni. Artisti che hanno saputo ispirare in differenti modi l'approccio al mondo dell'arte di Beppe Borella. E' soprattutto Manzoni che con l'ilarità, il paradosso, la provocazione e la genialità delle sue opere, innesca il bisogno di sperimentare nuove idee.

Ogni materiale può scherzare e "divertirsi" con la creatività innata di Beppe Borella che arriva a considerarne ogni colore, forma e consistenza, un potenziale elemento che, interagendo con l' "idea", da forma all'opera d'arte.

E' così che nascono moduli infiniti e giochi d'ombre che trasportano la memoria di chi osserva a ricreare, grazie alla lavorazione di pietra e marmo, minuscoli paesaggi e rimandi ad altri elementi naturali. In alcune opere si ritrova il bisogno di oltrepassare la superficie per andare al fondo della materia senza alterarne la sostanza; in altre, con un chiaro richiamo a Boccioni, la dispersione delle forme all'interno dello spazio plasma la pietra mantenendone inalterata la natura.

Ogni opera ha quindi in se la scoperta di nuove forme e nuove idee.